Biologico: la registrazione di un fenomeno

Articolo di Luca Colombo, segretario di Firab, pubblicato in data odierna su Extraterrestre de Il Manifesto:

Che succede se il bio si ferma proprio quando l’UE ne reclama lo sviluppo tanto da triplicarne le superfici europee in 10 anni? Che non se ne capirebbe bene il perché e cosa ne potrebbe derivare.

In uno scenario di rallentamento della crescita di superfici ed operatori bio maturato negli ultimi anni, uno studio condotto dal CREA e da FIRAB, primo in Italia e tra i pochi in Europa, ha cercato di cogliere le dimensioni dell’abbandono della certificazione da parte delle aziende biologiche, di capirne le motivazioni, di stimarne gli effetti. L’indagine sull’uscita dal sistema di controllo e certificazione bio in Italia è disponibile sui siti di FIRAB e della Rete Rurale Nazionale e descrive un quadro paradossale di crescita del settore con consumi in espansione cui fanno da contraltare un arretramento delle regioni del Mezzogiorno da sempre leader per operatori e superfici, la gravosità del sistema di certificazione, l’efficacia a singhiozzo delle politiche, opportunità di mercato non estese a tutti gli operatori e tutti i comparti – a partire da quello zootecnico. Emerge inoltre come registrazione, elaborazione e gestione dei dati non siano funzionali a tener conto delle pieghe evolutive del settore.

Ai fini di una migliore pianificazione delle politiche di settore, lo studio richiama l’esigenza di riuscire a caratterizzare compiutamente i flussi delle aziende biologiche in entrata e in uscita. Il sistema di gestione contabile degli operatori biologici non permette infatti di discriminare in maniera compiuta se la recessione dalla certificazione avvenga per chiusura o cambio di attività oppure per abbandono intenzionale del sistema di controllo. La differenza è rilevante perché la cessazione dell’attività aziendale costituisce un problema generale dell’agricoltura nel suo cambiamento strutturale e non uno specificamente riconducibile al biologico. Al contrario, la rinuncia volontaria alla certificazione può denunciare una crisi di quella mission di sostenibilità indicata dall’UE e volta a raggiungere il 25% di bio entro il 2030 oppure un’insofferenza verso il sistema di regole che la imbrigliano e che non le permetteranno di procedere spedita verso quell’obiettivo. Il quadro va pertanto analizzato con adeguati strumenti di analisi e lettura.

Il sistema infatti non ‘traccia’ il destino delle aziende fuoriuscite intenzionalmente, di cui non diventa noto se tornino a una conduzione convenzionale o se mantengano metodi e approcci biologici, pur rinunciando alla certificazione. Se questo è vero per la contabilità ufficiale, che fornisce aggiornamenti in relazione ai saldi algebrici tra entrate e uscite, lo è anche per l’analisi scientifica che ha dedicato scarsa attenzione agli agricoltori fuoriusciti dal biologico e alle loro scelte produttive a valle dell’abbandono della certificazione. Neanche questo aspetto è secondario: le motivazioni a convertire al biologico sono legate a speranze specifiche e la rinuncia alla certificazione può essere spiegata da aspettative non soddisfatte e da una percezione di utilità del sistema biologico inferiore alle attese; oppure, all’opposto, l’abbandono della certificazione può essere dettata da un’insofferenza rispetto a un sistema percepito come ingabbiato dentro procedure superflue di cui liberarsi per una più sciolta adozione di pratiche agroecologiche.

Per questi motivi, sarebbe utile un cambio di atteggiamento nell’acquisizione e gestione dei numeri aiutando a meglio articolare la lettura e la comprensione del fenomeno. Un’analisi volta a comprendere gli esiti della uscita dalla certificazione consentirebbe anche la possibilità di dar vita a un osservatorio comune tra Paesi europei, a fronte di un quadro informativo attuale estremamente lacunoso che impedisce una valutazione integrata di quelle dinamiche europee su cui la Strategia europea Farm to Fork pone ora particolare attenzione.

Il ripristino di un più dettagliato quadro sulle dinamiche quantitative del settore sarebbe pertanto di particolare supporto alle scelte di politica pubblica, così come della rappresentanza agricola e dei singoli operatori. Una gestione rafforzata dei dati e una loro sistematizzazione funzionale consentirebbe infatti un più efficace e differenziato intervento tramite politiche trasversali e settoriali. Un quadro conoscitivo più dettagliato potrebbe infine aiutare a contenere l’emorragia di aziende biologiche, ma potrebbe anche consentire di valorizzare quegli operatori fuoriusciti dalla certificazione che restano però interessati al mantenimento di tecniche e approcci sostenibili frutto delle competenze acquisite in biologico.

Considerazioni frutto dello studio di Firab e Crea su uscita aziende disponibile qui.

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