Buone pratiche di conduzione del bestiame sui pascoli e ricadute socioeconomiche: i risultati sul Report Life GRACE

Le buone pratiche di conduzione del bestiame sui pascoli da parte dell’allevatore consentono di preservare l’equilibrio naturale delle praterie e dell’intero ecosistema. L’allevatore è quindi di estrema importanza per la conservazione delle praterie e delle razze autoctone e come figura di custode del territorio. E’ di estrema importanza comprendere, perciò, criticità e bisogni delle aziende zootecniche e relativamente al mercato delle carni prodotte nei siti Natura 2000.

Mantenere in vita l’allevamento estensivo di razze locali, anche tramite strumenti di promozione e studio di opportunità di mercato volte ad aumentare le opportunità per gli operatori zootecnici di tali aree, oltre che con interventi di politica agroambientale, significa preservare l’eccezionale patrimonio di biodiversità, flora ed insetti impollinatori, che i pascoli custodiscono.

Proprio in questa ottica, FIRAB ha chiesto agli allevatori di partecipare all’indagine socioeconomica (conclusasi), i cui risultati, unitamente ad un inquadramento sia della letteratura ad oggi disponibile sul tema, sia analizzato da ARSIAL dal punto di vista socioeconomico, elaborando i dati provenienti da fonti pubbliche, sono disponibili nel Report, scaricabile di seguito.

Lo studio mira a fornire un quadro per la comprensione delle dinamiche socioeconomiche nel mondo agropastorale, nelle tre ZPS del progetto GRACE (Montagna Reatina, Tolfetano-Cerite-Manziate e Monti Ausoni-Aurunci).

Lo studio delinea anche il quadro di intervento per le attività di GRACE, con particolare riferimento alla definizione di strumenti di governance territoriale in grado di rispondere alle molteplici esigenze dei vari stakeholder e per rilanciare il ruolo degli allevatori e delle filiere legate all’allevamento sostenibile nella gestione e salvaguardia degli ecosistemi a pascolo.

Il Report approfondisce sia i dati provenienti da fonti pubbliche sia quelli forniti da pastori locali a un questionario GRACE progettato per l’indagine socioeconomica; inoltre, delinea le configurazioni socio-economiche e territoriali delle tre aree e discute i risultati ottenuti.

Nello specifico il rapporto:

• analizza le dinamiche socioeconomiche della produzione agro-zootecnica nelle aree di progetto, anche con riferimento ai vincoli pedoclimatici che influiscono non solo sull’evoluzione degli habitat target ma anche sulla risorsa pabulare (la parte foraggera/pascoliva) e la struttura del settore agro-pastorale;

• esplora in modo originale il rapporto tra attività agricole e siti Natura 2000, attraverso i piani colturali, che permettono di collegare le aziende agricole alle aree effettivamente utilizzate nelle ZPS del progetto;

• esamina il ruolo delle razze locali nelle ZPS del progetto;

• indaga i punti di vista e le percezioni degli operatori, dell’aree interessate dal progetto, riguardo al loro contesto e alle prospettive socioeconomiche.

I principali risultati di queste analisi:

• una tendenza allo spopolamento nelle aree rurali e un calo dello stock di bestiame, soprattutto nelle piccole aziende agricole;

• una riduzione degli allevamenti attivi, ad eccezione degli allevamenti ovicaprini di Monti Ausoni-Aurunci, per lo più concentrati nelle zone più accessibili e produttive a valle delle aree;

• una progressiva specializzazione degli allevamenti in zone d’alta quota, di maggiore interesse naturalistico, verso l’allevamento di bovini da carne, meno costoso da gestire e curare, quello di pecore e capre;

• la scomparsa dei seminativi nelle ZPS Montagna Reatina e Ausoni-Aurunci, con conseguente riduzione dell’autoapprovvigionamento delle aziende agricole di foraggi, sempre più rivolti alla produzione di vitelli destinati all’ingrasso e finitura in strutture dedicate;

• il ruolo significativo delle formazioni vegetazionali transitorie (circa 20% e 50%) nelle aree destinate al pascolo, in tutte le ZPS di progetto;

• il modello di gestione dei beni comuni, che vincola l’assegnazione delle aree a pascolo ai residenti, determina una disconnessione tra presenza e reale fruizione dell’habitat;

• il persistere di allevamenti di razze autoctone minacciate di estinzione: nelle 3 ZPS del progetto ci sono 324 aziende agricole che allevano razze locali, il che rende potenzialmente una strategia utile per la sopravvivenza delle aziende pastorali e per la gestione delle aree;

• l’80% degli agricoltori intervistati è certificato biologico con produzione zootecnica come attività principale; pochi svolgono anche attività di trasformazione, e ancor meno quelli che coprono l’intera filiera produttiva completando tutte fasi di lavorazione fino alla commercializzazione finale; non ci sono  praticamente strategie di valorizzazione commerciale rivolte ai canali dedicati;

• una cronica mancanza di aggregazione tra produttori, in particolare sul piano commerciale, ma l’ipotesi di poter aderire ad una aggregazione aziendale per una più ampia strategia multicanale è stata accolta favorevolmente dagli operatori intervistati in tutti e tre le aree di progetto;

• un intervistato su tre è interessato alle strategie di filiera, utili per migliorare i rapporti produttori-consumatori;

• l’ostacolo principale che tutti gli allevatori intervistati hanno incontrato è eccessiva burocrazia;

• la difficoltà nel posizionare i propri prodotti come biologici (dovendo spesso vendere come convenzionali)

• un gran numero delle aziende intervistate opera in aree montuose che richiedono ulteriori costi economici e di transazione e oneri burocratici;

• sebbene la maggior parte delle aziende agricole esaminate riceva contributi attraverso la PAC e PSR, nessuno di loro ha beneficiato di altri fondi pubblici e pochi di loro di prestiti agevolati;

• circa un quarto delle aziende agricole intervistate è interessato a saperne di più sui contratti territoriali/di gruppo, e più in particolare sono desiderosi di saperne di più su contratti collettivi per l’attuazione di pratiche ecosostenibili.

Dallo studio sono emerse diverse criticità, che in qualche modo riflettono problemi già evidenziati in letteratura: temi che rappresentano utili punti di leva per rilancio dell’attività di pascolo e delle sue potenzialità economiche, anche in termini di conservazione dinamica dell’habitat e della biodiversità.

Lo sfruttamento della leva commerciale sembra essere un’area di possibile intervento, che dovrebbe essere supportata da una diffusa azione di sensibilizzazione foriera di una nascita di valori ambientali e igenicosanitari delle carni allevate ad erba (commercialmente conosciute come grass fed).

Rendere consapevoli e (in)formati i consumatori dell’area metropolitana di Roma, nonché delle comunità locali e regionali, sulle carni grass fed di qualità, grazie a un sistema di etichettatura dedicato, in cui si evince che sono carni provenienti da realtà locali, di piccola scala; mettendo così in luce i sistemi di produzione sostenibili, trasparenti, accessibili sia nei negozi di quartiere/prossimità e online, si potrebbe generare un grande potenziale per soddisfare la domanda emergente di gruppi di consumatori.

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